Recensione di Elisabetta Bolondi
Autore: Rosner Elizabeth
Titolo: A voce piena
Editore: Mondadori 2002
Tre sono le voci narranti che si avvicendano in questo romanzo in cui ancora una volta figli di sopravvissuti alla shoah cercano di uscire dalla infelicità allo stato puro che hanno ereditato senza realmente conoscerne le ragioni. Julian e Paula sono due giovani californiani che vivono a Berkeley; lei sta tentando la carriera di cantante lirica, lui vive lavorando su un dizionario scientifico per conto dell'università. Fra loro c'è Sola, una profuga del centroamerica il cui villaggio è stato totalmente distrutto e lei è l'unica sopravvissuta a quell'orrore. I tre personaggi percorrono strade vicine e parallele alla ricerca profonda delle ragioni della loro sofferenza, Paula in Europa, a Budapest, dove apprenderà la sconvolgente verità su suo padre, impiegato ad Auschwitz in un Sonderkommando; Sola riuscirà finalmente a parlare, alla presenza di un altro sopravvissuto del suo villaggio che casualmente incontra; Julian con l'aiuto delle due donne riuscirà faticosamente ad uscire da una forma di nevrosi gravissima che nessuno psichiatra era riuscito a scalfire. Romanzo emotivamente coinvolgente, scritto con maestria e con una struttura solidissima e davvero ben costruita, ci lascia tutte le suggestioni della letteratura americana attuale: rappporto con l'Europa, con la diversità, con il mondo universitario, con i sentimenti ancestrali.

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